La pittura fiamminga

La cultura artistica fiamminga


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La cultura artistica fiamminga (quella che si sviluppa tra le Fiandre e il Belgio già del XIV secolo), prende le mosse da una sorta di persistenza di isole di classicismo che, anche durante il pieno medioevo, non hanno mai visto una vera interruzione con il linguaggio classico. Oltre alle evidenze plastiche monumentali che si notano nei cantieri delle grandi Cattedrali di Chartres e di Reims, certamente il mantenimento di istanze classiciste era stato già sottolineato dalla grande campagna di ripresa puntuale di forme e architetture, voluta prima da Carlo Magno e poi dagli Ottoni, al tempo della nascita del Sacro Romano Impero. Il classicismo fiammingo, però, pur riflettendo sulla natura indugia sulla necessità di descriverla, soffermandosi ad indagarla, quasi ossessivamente, concentrandosi sull’estrema variabilità degli eventi naturali e sull’estrema varietà delle forme. La conseguenza di questo atteggiamento è unun disinteresse verso la sintesi - quella sintesi meravigliosa che è alla base della grande cultura rinascimentale italiana – che viene sacrificata in vista di una minuziosa e parossistica attenzione verso ogni singolo evento e ogni singolo “fenomeno”, secondo un processo che vuole addirittura superare ciò che è naturalmente percepibile dall’occhio umano. Ciò che caratterizza la pittura fiamminga è la scelta di toni brillantissimi, dovuti all’utilizzo del colore ad olio, unita a quella di non utilizzare la prospettiva lineare per accogliere, invece, spazialità eccezionalmente luminose dove è proprio la luce a giocare il ruolo di elemento unificante dell’intera scena. Appare chiara, ancora, la volontà di coinvolgere lo spettatore, sia attraverso il posizionamento delle figure principali di tre quarti sia attraverso la scelta di utilizzare più punti di fuga senza preferire quello centrale, secondo il linguaggio italiano, indugiando spesso su espressioni del viso accattivanti e sempre sull’esaltazione dei particolari più minuziosi del volto dei personaggi rappresentati. Particolarmente interessante è, inoltre, il miniaturismo, tecnica che permette di esporre la maggior parte di aspetti della realtà, anche quelli non visibili ad occhio nudo e, quindi, solo percepibili intellettualmente. Nel corso del XIV secolo e poi nel XV secolo si assiste alla nascita del cosiddetto “Primitivismo fiammingo”, i cui protagonisti sono Jan van Eyck, Roger van der Weiden e Robert Campin (seguiti, verso la metà del secolo da personaggi di enorme spessore artistico, quali Petrus Christus e Hugo van der Goes),  e che mostra una chiara continuità con il miniaturismo tardomedievale, una predilezione per temi legati al paesaggio e, principalmente, al ritratto minuzioso.

Ritratto dei coniugi Arnolfini

Jan van Eyck è certamente il più grande pittore fiammingo del XV secolo, da molti studiosi e critici addirittura considerato come l'inventore della pittura ad olio. Ciò che caratterizza la sua pittura è l’altissima qualità pittorica, la capacità di cogliere in maniera perfetta gli aspetti più minuziosi della realtà, che si manifesta principalmente nei ritratti, tra i più vivi e somiglianti del XV secolo, in cui l’attenzione verso il dato fisico si coniuga in maniera mirabile con la ricerca del carattere etico e psicologico del personaggio rappresentato.


Ritratto dei coniugi Arnolfini

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Una delle opere più famose di Jan van Eyck è certamente il Ritratto dei coniugi Arnolfini (National Gallery di Londra - 1434), rappresentante il mercante Giovanni Albertini con la prima moglie Costanza Trenta. L'opera, che è uno dei più antichi esempi conosciuti in pittura che non sia di soggetto religioso, mostra la coppia in piedi riccamente abbigliata, all'interno di una stanza da letto. L’attenzione ossessiva verso ogni singolo elemento presente nella stanza, assieme alla volontà di allargare, tramite lo specchio, lo spazio percepibile, fa perdere di vista proprio la dimensione e la concezione spaziale. Tutto è descritto nei minimi dettagli: la pelliccia, il mantello, le pieghe del vestito, il cagnolino, gli zoccoli, lo specchio in cui c’è l’immagine dei due coniugi visti da dietro con il pittore che li sta ritraendo ecc. Tuttavia la prospettiva è completamente sbagliata, manca un unico punto di vista e si nota un forte effetto di scivolamento in avanti della coppia e di tutti gli oggetti descritti nella tavola. Nonostante sia chiara la volontà di coinvolgimento dello spettatore, non si riesce ad entrare a far parte della scena, proprio perché lo spazio non è misurabile e non è concepito secondo criteri geometrici.


Uomo con turbante rosso

--> L’opera, conservata alla National Gallery di Londra e datata al 1433 è uno dei ritratti più belli di Van Eyck. L’uomo, probabilmente l’artista stesso, è individuato e descritto in ogni suo particolare fisiognomico, van Eyck è in grado di cogliere ogni singolo aspetto, ogni singola ruga del volto, ogni segno sulla pelle, ogni pelo delle sopracciglia. Il turbante rosso, che si espande stagliandosi su un fondo di un nero profondissimo, mostra delle pieghe assolutamente naturali, non si nota nessun ricorso a forme sintetiche ma, piuttosto, il grado di definizione di esso supera ciò che un occhio potrebbe percepire, se non a un’attentissima e lunghissima analisi.

La pittura fiamminga e l'impatto sull'arte italiana
--> L’attenzione e la sapienza verso la resa dei particolari da parte di Jan van Eyck dimostrano la distanza che c’è tra il grande artista, e in generale l’arte fiamminga, e la sintesi di spazio/tempo che caratterizzava, da Masaccio in poi, l’arte figurativa italiana. A differenza dell’arte italiana, dove la scoperta e l’applicazione della prospettiva e l’attenzione verso l’agire dell’uomo nello spazio, porta ad una necessaria perdita di vista per l’aspetto descrittivo per l’acquisizione di una coscienza storica, l’arte fiamminga, raffinatissima e perfetta, sottolinea un aspetto cortese che, necessariamente, indugia sulla descrizione del particolare, arrivando ad una esaltazione dell’aspetto aristocratico sia del paesaggio che dei personaggi rappresentati. A dare maggior slancio alla diffusione della cultura artistica fiamminga in Italia e, contemporaneamente, a sancire la presenza di un carattere ben specifico dell’arte italiana è il “Trittico Portinari” di Hugo van der Goes che, nel 1478, arriva a Firenze. Certamente la conoscenza dell’arte fiamminga in Italia era un fatto assodato, dato che già durante il ‘300 e poi nel corso di tutto il ‘400 si era assistito ad un continuo scambio commerciale e culturale con le Fiandre. Nonostante, però, le opere di van Eyck o di van der Weyden  erano note in Italia e spesso nobili e mercanti si rivolgevano a questi artisti per farsi rappresentare, con l’arrivo del Trittico di Hugo van der Goes, i legami si stringono ancora di più, data anche la dimensione eccezionale dell’opera e l’eco che il suo arrivo ha suscitato in tutta la Penisola. Ora, però, se è vero che gli artisti italiani rimarranno profondamente turbati e influenzati dalla bellezza del capolavoro di van der Goes, è anche vero che è proprio da questo momento in poi che la cultura italiana prenderà una posizione decisa rispetto a quella fiamminga, tramite l’opera di artisti di eccezionale valore ed eccezionale cultura, che saranno i massimi interpreti della grande pittura italiana del ‘400, sintesi mirabile tra attenzione parossistica nei confronti della natura e del singolo particolare fiamminga e tendenza a superare la variabilità della realtà sensibile, per risalire da essa a dati assoluti, che è quella Neoplatonica, tra tutti: Piero della Francesca e Antonello da Messina.
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