La basilica di San Vitale a Ravenna

La Basilica di San Vitale fu fatta costruire dal vescovo Ecclesio, con il contributo di Giuliano l’Argentario, nel 526 e completata nel 547 dal suo successore, l'arcivescovo Massimiano quando Ravenna era già stata riconquistata dall'imperatore Giustiniano I. L'edificio, capolavoro dell’architettura ravennate combina elementi architettonici romani (la cupola intradossata e sviluppantesi in altezza, la forma dei portali, le torri) con elementi bizantini (l'abside poligonale, i capitelli, la costruzione in mattoni). 
Dalla forma geometrica del nucleo principale emergono altri corpi altrettanto rigorosamente definiti: il tiburio sopraelevato, ugualmente ottagonale, e l’abside, poligonale all'esterno, semicircolare all'interno e affiancata da due piccoli ambienti (pròthesis diacònicon). Si accede all'interno attraverso due porte: l'una in asse, l'altra, invece, obliqua rispetto all'abside. Di conseguenza anche il nartece, detto àrdica, invece di essere tangente al lato frontale dell'ottagono, si dispone obliquamente toccando un angolo del perimetro.Viene così a mancare quel rapporto rettilineo fra ingresso e abside, che rende evidente la forma dell'edificio. Nel passaggio dall'uno all'altro si trovano delle esedre, traforate da un doppio ordine di arcatelle e racchiuse entro grandi archi sostenuti da pilastri angolari a W, che producono un'espansione radiale pluridirezionale. 
Il complesso, già straordinariamente mosso e leggero per il ripetersi degli archi, doveva esserlo in misura maggiore quando non era ancora parzialmente interrato e le colonne poggiavano su alte basi a gradini. Del resto tutto contribuisce ad alleggerire il peso delle masse strutturali: I pulvini (elementi tronco piramidali posti sopra ai capitelli) che staccano l'arco, quasi sollevandolo e sospingendolo in alto, e soprattutto i capitelli, scolpiti a Bisanzio, che attraverso una meravigliosa sintesi estetica, trasformano il linguaggio del capitello corinzio in cesti traforati come se fossero fragili trine.
Oltre ai celeberrimi mosaici, completano la decorazione interna i marmi policromi, gli stucchi e le balaustre del matroneo, traforate finemente mentre  sui pulvini sono raffigurate sagome zoomorfe e la Croce. Lo sfarzo, sottolineato dalla particolare pianta crea un effetto di sfavillìo che sembra annullare il peso della costruzione in una dimensione quasi soprannaturale. Ciò è tipico della corte imperiale bizantina, mentre altri elementi, come la cupola, meraviglioso mosaico di straordinari dipinti, alleggerita da tubi fittili, sono frutto delle esperienze italiane, per cui si presume che alla basilica lavorarono maestranze sia locali sia di provenienza orientale. L'arco dell'abside ha un significato imperiale, si notano infatti che due aquile sorreggono il clipeo cristologico che rappresenta il monogramma stilizzato (costantiniano imperiale) di Cristo.

I Mosaici
Il punto focale della decorazione musiva è situato nella zona presbiteriale.
Sull'estradosso dell'arco absidale due angeli in volo reggono un clipeo cristologico, ai lati sono raffigurate le città di Gerusalemme e di Betlemme celesti. Nel catino absidale si nota la presenza di un giovane Cristo, senza barba seduto su un globo terracqueo, tra due arcangeli con il Rotolo dei sette sigilli chiuso in una mano, mentre con l’altra mano porge la corona del martirio a San Vitale titolare della chiesa), che avanza da sinistra spinto da uno degli arcangeli. Speculare a San Vitale è il vescovo Ecclesio con il modellino della chiesa in mano, anch’esso presentato a Cristo dall’altro arcangelo.
Sulla volta a crociera del presbiterio quattro angeli sostengono un clipeo con l’Agnus Dei, immersi fra girali ospitanti fiori stilizzati. Nell'intradosso dell'arco trionfale si notano i clipei con il Cristo e gli Apostoli (si riconoscono San Pietro e San Paolo che ripetono l’usuale iconografia), mentre ai lati del presbiterio si aprono due coppie di trifore, su ciascuna delle quali è presente una lunetta che ospita mosaici con i sacrifici di Abele e Melchisedec e una scena, divisa in due tempi, che rappresenta l’Ospitalità di Abramo e il Sacrificio di Isacco.
Le lunette sono sormontate ciascuna da una nuova rappresentazione di due angeli in volo che reggono un clipeo con il Monogramma cristologico, e nei pennacchi esterni alle lunette sono le immagini di profeti (Geremia, Mosè e Isaia) e relative scene del Vecchio Testamento (Mosè che custodisce il gregge di Ietro, Mosè che si appresta a togliersi i calzari prima di entrare nel Roveto Ardente, e Mosè che sale sul Monte Sinai per ricevere la Tavole della Legge). Nell’ordine superiore su ciascun lato si apre una trifora più stretta coi simboli dei 4 Evangelisti.
Celeberrimi sono i mosaici collocati entro due pannelli (datati tra 546 e il 548) sotto le lunette dell'ordine inferiore in posizione speculare, con il corteo dell'Imperatore Giustiniano e della moglie Teodora. La decorazione in oro dello sfondo del mosaico evidenzia uno spazio irreale, non chiaramente comprensibile. Le figure sono ritratte frontalmente, secondo una rigida gerarchia di corte, con al centro gli imperatori circondati da dignitari e da guardie. Accanto a Giustiniano è presente il vescovo Massimiano, l'unico che accanto ad una caratterizzazione fisiognomica è evidenziato da iscrizione col suo nome, probabilmente il committente dei mosaici dopo essere stato nominato primo arcivescovo di Ravenna.
Le figure accentuano un’eccessiva bidimensionalità e accelerano il percorso verso una stilizzazione astrattizzante che non contraddice lo sforzo verso il realismo che si nota nei volti delle figure. Non esiste prospettiva ma, piuttosto, nella lettura dei pannelli regna una confusione che non è comprensibile se non alla luce di un complicato processo di lettura degli stessi. 
Nel pannello imperiale di sinistra è rappresentato Giustiniano, che porta sulle mani una patena d'oro, accanto a lui è il vescovo Massimiano, preceduto da un diacono con un turibolo e da un altro che porta l'Evangeliario L'Imperatore è circondato da tre alti dignitari ed è seguito da un gruppo di soldati di guardia.
I personaggi che sembrano immobili e frontali, in realtà sono solo bidimensionali, non mostrano alcuna ombra e sembrano galleggiare senza peso in un non luogo astratto; i piedi sono sovrapposti gli uni agli altri creando un senso di confusione e di distanza dalla realtà. Questa sensazione, però, è immediatamente contraddetta qualora ci si soffermi a leggere i pannelli concentrandosi sulla parte alta delle figure.
Oltre a notare una chiara volontà di ritrarre i personaggi più importanti (Giustiniano e Massimiano), appare chiaro anche come i personaggi non si dispongano immobili su un solo piano ma emergendo dal fondo si stiano muovendo in processione verso sinistra. Il corteo che si propone vede, infatti, non solo Giustiniano in primo piano (si noti come le sue spalle sono completamente definite e come la sua mano sinistra si sovrapponga al braccio di Massimiano), ma anche come l’ultimo personaggio all’estrema destra del pannello, il diacono che porta il turibolo, addirittura esca dalla cornice.
Il pannello di destra rappresenta l’imperatrice Teodora che, preceduta da due dignitari civili e seguita da un gruppo di dame di corte, avanza verso sinistra portando sulle mani un calice d'oro tempestato di gemme.  La lettura del pannello musivo non è dissimile da quella avanzata per quello rappresentante Giustiniano, anche qui si nota un’incongruenza tra la parte bassa delle figure e la parte alta, leggendo la quale è possibile notare sia un’attenzione verso i ritratti fisiognomici sia verso un vero e proprio movimento processionale verso sinistra, dove si trova l’abside.
Un’analisi approfondita dell’apparato musivo di San Vitale porta a una serie di riflessioni sul ruolo delle immagini nella cultura ravennate, e in generale, cristiana del VI secolo.
La disarmonia tra il mosaico absidale e quello dei pannelli imperiali è impressionante, mentre in questi ultimi il senso di astrazione, bidimensionalità e anche immobilismo è palese, diventando più di una mera sigla stilistica, nell’abside il senso di veridicità della scena rappresentata è chiarissimo. Nonostante le indicazioni a livello paesaggistico non siano complesse, è indubbio che tutti i personaggi hanno una loro piena corporeità quasi tridimensionale, stanno saldamente sul terreno fiorito, addirittura proiettano ombre. Anche la gestualità dei personaggi è verosimile, le pieghe stesse degli abiti seguono i movimenti del corpo, il panneggio si distende e si complica in relazione all’anatomia e, addirittura seguendo il moto, si sviluppa nello spazio con ghirigori dinamici.
Che i mosaici del catino absidale e quelli del presbiterio siano contemporanei è oramai assodato, il programma decorativo della Basilica, infatti, si è svolto tra il 540 e il 547, allo stesso tempo, però, le differenze tra la concezione spaziale e anatomica tra i mosaici è impressionante. A differenza di ciò che si nota nel catino absidale, nessun personaggio descritto nei pannelli imperiali pare avere una sua dimensione fisica e corporea verosimile; la riduzione dei corpi a figure bidimensionali, la confusione che si genera tra la parte superiore e quella inferiore dei personaggi, la riduzione di essi a “tipi” fisici rifuggendo (tranne nel caso di Giustiniano, Massimiano e Teodora), da qualsiasi riferimento di tipo fisiognomico porta ad una chiara perdita di attenzione verso la volontà di evidenziare anche la psicologia dei personaggi, ridotti a fantasmi di loro stessi, inconsistenti e distanti dal mondo della percezione.
Non potendo spiegare questa differenza ricorrendo a distanze temporali o a un cambio di committenza, è necessario ritrovare in altro le motivazioni di tale scelta stilistica. Evidenziando come l’apparato decorativo e iconografico delle strutture ecclesiastiche sia propedeutico alla funzione primaria dell’edificio, quello di svelare attraverso le immagini i Misteri e le Verità dogmatiche della Chiesa, ecco che appare logico leggere anche le opere musive di San Vitale sotto quest’ottica. L’abside, immagine concreta del Paradiso, accoglie ovviamente la Verità: Cristo, gli Arcangeli, San Vitale, Ecclesio, sono eternamente vivi, hanno raggiunto la perenne esistenza e quindi necessariamente appaiono più veri del vero. A differenza di essi, le immagini terrene di Giustiniano, di Teodora e di Massimiano, come quelle dei dignitari e dei diaconi o dei militari, rappresentano il transeunte, il passaggio terreno degli esseri umani, un passaggio talmente veloce e infinitamente piccolo, davanti all’eternità, che non ha consistenza, non ha personalità, non esiste se non come immagine riflessa dell’esistente.
Alla luce di queste ultime considerazioni, quindi, appare impossibile avanzare ipotesi di differenze qualitative tra i due mosaici, sarebbe, oltretutto insensato pensare che proprio i mosaici con la figura dell’Imperatore, fossero stati realizzati da un artista meno capace di quello che lavorò nell’abside. Se è vero, com’è vero, che è proprio l’arte bizantina a raccogliere l’eredità della grande stagione dell’arte classica, e che certamente Giustiniano incarna uno dei massimi Imperatori del Mediterraneo medievale, non sembra vago pensare che i mosaici ravennati riprendano la concezione platonica del mondo, entrata nel cristianesimo tramite San Paolo. All’Apostolo è infatti legata l’affermazione che “noi vediamo come in uno specchio” e che la realtà percepibile solo con i sensi in realtà non abbia spessore, non aiuti a conoscere, ma debba essere superata in vista della verità eterna del Paradiso

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