Il romanico

Roma e il Sacro Romano Impero

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La scelta “romana” di Carlo Magno è, di fatto, la scelta del classico. Carlo, così come era in realtà successo per i re barbari oramai romanizzati, ha Roma come punto di riferimento, un punto di riferimento politico, statale, culturale, artistico e, come tale, degno di essere ripreso e attualizzato nel mondo a lui contemporaneo.
Parlare di cultura romana significa, in un certo senso, prendere posizione critica rispetto alla deriva anticlassica, e più specificatamente germanica, che aveva caratterizzato i secoli centrali del cosiddetto Medioevo. La scelta carolina di riproporre l’architettura della Basilica romana di San Pietro, quale punto di riferimento architettonico-spaziale per le costruzioni sacre, e quella di divulgare la cultura attraverso una nuova scrittura, in grado di essere compresa anche da fasce sociali meno colte e meno ricche, assieme allo sviluppo dei pellegrinaggi e la nascita di una coscienza borghese, portano ad un profondissimo capovolgimento di valori e ad una svolta che può essere intesa come “pre-umanistica”.
Pensare a un’esportazione tout court della cultura figurativa (e non solo), romana, è però fuorviante. Non si tratta, infatti, di una copia a-critica della romanità, ma di una vera e propria reinvenzione di essa, di una traduzione, di una trasposizione di Roma in tutto l’Occidente europeo, ridiventato Impero Romano proprio ad opera di Carlo. Mai come in questo momento Roma diventa eterna, diventa un mito; Roma non appartiene ad alcun tempo ma sono tutti i tempi che appartengono a Roma; Roma non si concretizza in un gusto antiquario per vestigia frammentarie ma rivive proprio tramite tali frammenti;  e Roma supera la stessa idea che si ha di sé, come lo stesso Impero di Carlo, scavalcando uno iato durato circa 400 anni, si ricollega immediatamente all’Impero di Costantino; i tempi si annullano, le distanze si annullano, Carlo Magno è Costantino come papa Leone III è papa Silvestro e, proprio in quanto Romanorum Imperator Augustus, Carlo si fa promotore della più grande rinascita dell’Impero, secondaria solo alla restaurazione del grande Impero Romano ad opera di Costantino.


Spazio dell'Uomo e spazio di Dio nella chiesa romanica


Dal punto di vista delle costruzioni sacre (perché l’architettura romanica è in massima parte un’architettura religiosa), è chiaro che la Roma proposta è quella costantiniana e, in particolare, quella che produce la Basilica vaticana.
La presunta Basilica costantiniana di San Pietro -formata da un corpo longitudinale plurinavato, preceduto da un quadriportico e concluso in un transetto rettilineo più o meno sporgente e quindi in un’abside semicircolare - è l’edificio di riferimento dal IX all’avanzato XII secolo. Tale edificio, esportato in tutta Europa grazie all’azione dei monaci benedettini (si ricordi che l’Abbazia di Montecassino riprendeva le medesime forme e decorazioni di San Pietro in Vaticano), e dei pellegrini, viene necessariamente realizzato coi materiali propri dei singoli luoghi in cui è riproposto, da muratori aggiornati a tecniche diverse da situazione a situazione e, necessariamente, muta in maniera profondissima, pur rimanendo fedele al modello di base. Si diffonde, quindi, in tutta Europa una struttura architettonica complessa, composta da parti ben evidenziate (un quadriportico, le navate, un transetto, un’abside), ma sempre diversa, sempre espressione del luogo in cui viene realizzata, e ciò non solo dal punto di vista architettonico ma anche, e soprattutto, socio-culturale.
Proprio questo ultimo aspetto è quello più interessante per poter comprendere appieno il Romanico. Sviluppandosi nei centri urbani spesso ancora molto giovani, in quanto nati lungo le vie di pellegrinaggio, la chiesa è espressione del popolo, della nuova classe dirigente – la borghesia – e, come tale, diventa l’immagine concreta della nuova economia che nasce dopo la scomparsa delle frontiere europee, un’economia che prevede un continuo scambio culturale tra luoghi molto distanti tra loro e, quindi, una contaminazione smisurata di esperienze e influenze dal punto di vista tecnico, strutturale, architettonico e decorativo.
La presenza dell’Uomo nella costruzione della chiesa romanica porta a un mutamento profondo nel rapporto tra esso e il “divino”. Nella chiesa, espressione della borghesia, necessariamente muta il rapporto tra il fruitore di essa e ciò che si palesa sull’altare e nell’abside. Umanizzata fino all’osso, la chiesa non è più semplicemente il luogo che accoglie la presenza di Cristo, ma è principalmente il luogo dove l’Uomo incontra la divinità, e la incontra attraverso i mezzi umani, la incontra attraverso un percorso che deve controllare e misurare, la incontra attraverso un vero e proprio dialogo con Dio, un dialogo che si svolge in uno spazio sempre più misurato e, quindi, in un tempo sempre più percepito.
A questo punto è chiaro che analizzare l’architettura romanica dal punto di vista meramente strutturale, appare fuorviante e anche limitativo. È vero che lo scambio economico e culturale tra le varie regioni dell’Impero porta a contaminazioni costruttive, è vero che le stesse premesse carolingie, volte alla sottolineatura del ruolo dell’Imperatore nel rapporto col popolo che portavano alla nascita del Westwerk, diventano un linguaggio desemantizzato che si diffonde in maniera uniforme in tutto l’Impero, ma è anche vero che è proprio grazie all’intervento del cittadino nella costruzione del tempio si può riconoscere una serie di eventi architettonici, da leggere come “necessari” alla presenza dell’Uomo nella casa di Dio.
L’architettura allora si piega alle nuove necessità dell’Uomo; lo spazio diventa luogo d’incontro tra Dio e Uomo; perde quella dinamicità univoca che spingeva irrimediabilmente l’Uomo verso l’abside; si frammenta in una serie di isole spaziali perfettamente intellegibili, frutto di un’attività razionale dell’Uomo, che permettono ad esso di comprendere pienamente il luogo e di muoversi liberamente in esso. La chiesa romanica esalta allora la scelta umana, la scelta di vivere lo spazio, di proseguire fino all’incontro con Dio o di fermarsi, la scelta di partecipare pienamente al disvelamento della verità attraverso le sue azioni.

I linguaggi regionali del romanico italiano

La lettura dello spazio architettonico della chiesa romanica ora proposto, evidentemente non può prescindere dalle membrature architettoniche che lo definiscono e lo comprendono ma, allo stesso modo, dà a esse un valore che non è meramente strutturale ma, essenzialmente, storico-artistico e umanistico.
Pur essendo strettamente collegata alle influenze economico-commerciali che determinano l’eterogeneità delle realtà culturali europee, nella stragrande maggioranza delle chiese romaniche la presenza dell’essere umano è fondamentale. In maniera diversa: che ciò avvenga tramite una frammentazione spaziale, tramite una scelta dei soggetti decorativi, tramite un controllo dimensionale e proporzionale delle singole parti componenti l’organismo architettonico, sempre appare palese la necessità di controllare, armonizzare la struttura, rendendola immediatamente riconoscibile come frutto della razionalità umana.
Le influenze dovute alla situazione economico-commerciale che caratterizza questo particolare periodo storico e questa particolare situazione politica, basata essenzialmente sul libero scambio e sulla libera circolazione di idee, vede il “ritorno a Roma” esprimersi non solo in linguaggi nazionali ma anche, almeno per quanto riguarda l’Italia, in particolarismi locali o regionali che possono essere sintetizzati in :

Romanico lombardo
Romanico padano
Romanico veneto-veneziano
Romanico umbro-marchigiano
Romanico toscano e fiorentino
Romanico pugliese
Romanico normanno-bizantino nel meridione d'Italia
Rinascita paleocristiana nel Lazio e a Roma


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