Mausoleo di Galla Placidia
Il Mausoleo di Galla Placidia risale alla prima metà del V secolo (circa dopo il 425) ed è strettamente collegato alla corte imperiale, che si trova a Ravenna dopo essersi spostata da Milano.
L’edificio, di piccolissime dimensioni, è stato voluto proprio da Galla Placidia, come mausoleo funebre per accogliere le sue spoglie e quelle dei familiari (probabilmente Costante III e Onorio), e certamente risulta essere uno dei meglio conservati edifici di epoca tardo-romana e proto-bizantina.
Originariamente collegato alla Basilica della Santa Croce, il minuscolo edificio presenta una pianta a croce latina, in quanto la navata è leggermente più lunga del transetto molto sporgente, è coperto da volte a botte mentre sull’incrocio si erge una cupola emisferica.
Nonostante non possa essere annoverato tra le strutture bizantine, l’edificio presenta in nuce una serie di caratteristiche che poi si ritroveranno, apparendo come elementi essenziali, in tutta l’arte bizantina e ravennate dalla fine del V secolo in avanti.

Il mausoleo, la cui destinazione d’uso è evidentemente sacra, risponde necessariamente ad una serie di esigenze proprie di una comunità cristiana che vede, principalmente nella morte il dies natalis, il giorno della nascita evidenziando la fede nella vita ultraterrena, eterna e incomprensibile attraverso il solo ricorso alla ragione.

Tutto all’interno dell’edificio nega ciò che all’esterno appare comprensibile. Gli angoli così netti che individuano ogni parte di esso, ogni parallelepipedo in mattoni, sono smussati; i profili delle coperture a doppio spiovente diventano volte a botte continue, i timpani diventano archivolti, il cubo che si innalza all’incrocio dei bracci contiene una cupola semisferica. A creare questa incredibile dicotomia non sono soltanto i diversi sistemi architettonici utilizzati ma intervengono in modo preponderante, e certamente sostanziale, i mosaici. Essi si stendono come un tappeto, su ogni superficie partendo da circa un metro e mezzo rispetto al pavimento e invadendo ogni superficie libera: le volte sono coperte da decorazioni a forma di cerchi, stelle, elementi fitomorfi e simboli cristiani; gli archivolti nascosti dai timpani esterni, inquadrati da cornici decorative a doppia S o ad elementi geometrici, suggeriscono paesaggi aperti e agresti; le pareti del cubo che nasconde la cupola vede l’apparizione di profeti da uno sfondo blu notte e la semisfera della cupola mostra sui quattro pennacchi i simboli dei quattro evangelisti e al centro, di una incredibile spirale di stelle, la Croce gemmata.
Nell’ottica di questa incongruenza tra lo spazio interno e la volumetria esterna appare di estrema importanza il ruolo delle lunette (corrispondenti ai timpani esteri), posti in fondo ai bracci del transetto. Le due lunette, che rappresentano la scena con il “Buon Pastore e le pecore” e quella con “Il Martirio di San Lorenzo”, sono gli ultimi esempi di un’arte in parte ancora legata alla pittura di tipo ellenistico-romano, ma che lascia intravedere le novità proprie della cultura bizantina.
La lunetta rappresentante il “Buon Pastore e le pecore” si concentra sulla presenza di un giovane Cristo imberbe, seduto al centro di una scena bucolica con 2 gruppi di tre pecore poste alla sua destra e alla sua sinistra, inseriti in un ben percepibile ambiente campestre. Cristo è vestito con abiti dorati, con una mano ciba una pecora mentre con l’altra regge una grande croce gemmata. La scena appare assolutamente verosimile, si percepisce un ambiente che propone uno sfondamento, quasi come una finestra aperta su un paesaggio naturalistico; a ciò concorre la varietà di piante e rocce, il cielo azzurro sullo sfondo e la naturalezza dei gesti di Cristo e delle pecore, tanto da poter affermare che la scena possa essere inserita nel novero delle ultime manifestazioni di altissimo livello dell’arte classica.
Dal punto di vista simbolico appare chiaro un riferimento al dogma trinitario, con l’organizzazione delle pecore in due gruppi di tre e con la disposizione triangolare delle stesse nonché di tutta la composizione.
Nella lunetta rappresentante “Il martirio di San Lorenzo” la situazione appare più complessa e per certi versi, distante dal linguaggio classico, ora visto.
La scena si svolte in un luogo che non può essere definito interno o esterno, si nota il santo avvicinarsi dalla destra alla graticola posta sotto la finestra, al centro mentre all’estrema sinistra è una libreria aperta con all’interno i Quattro Evangeli. San Lorenzo è tratteggiato in maniera estremamente dinamica e veloce, arriva muovendosi liberamente nello spazio, la figura crea delle ombre e il movimento è evidenziato dallo svolazzo della tunica nonché dalla diagonale dalla Croce gemmata retta dal braccio destro e posta sulla spalla. La graticola, che è lo strumento del martirio (San Lorenzo venne bruciato vivo), mostra già delle incongruenze spaziali, non riuscendo ad essere posta solidamente sul pavimento ma piuttosto scivolando in avanti; ma è proprio la libreria che mostra per la prima volta una volontà di allontanare qualsiasi riferimento ad un’arte mimetica e ad uno spazio comprensibile, così caro alla pittura ellenistico romana. La libreria, infatti, appare totalmente bisimensionale, non mostra ombre e si pone come un disegno inconsistente in quello che appare essere non più uno spazio ma semplicemente una parte della lunetta, completamente sganciata dalla zona dove agisce liberamente San Lorenzo. E’ questa una delle prime manifestazioni a livello aulico, di una scelta stilistica assolutamente rivoluzionaria che porterà alla perdita totale dello spazio nei secoli compresi tra il V e l’XI secolo.
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