I templi e gli ordini architettonici
I templi
I templi sono gli esempi massimi dell’architettura del mondo ellenico e, in un
certo senso, continuano a essere le strutture architettoniche più perfette mai
concepite dall’uomo.

Data la sua importanza, l’edificio è rialzato rispetto al piano di calpestio, e
si erge su un basamento chiamato “STILOBATE”, raggiungibile superando i 3
gradini del cosiddetto “CREPIDOMA”.
Per poter avere una chiara conoscenza delle tipologie architettoniche dei
templi è necessaria una attenta classificazione di essi in base almeno a 3
parametri:
1- il
rapporto tra le colonne e gli spazi del Naos e del Pronao
2- il
numero delle colonne
3-
l’ordine
architettonico
Classificazione in base al rapporto tra colonne e spazi del Naos e del Pronao.
La tipologia più semplice del tempio è quella che vede l’edificio formato da un
Naos i cui muri laterali avanzano oltre il muro trasversale che lo divide dal
Pronao, inquadrando le colonne. Questa tipologia di tempio è detta “IN ANTIS”
La seconda tipologia, poco più complessa della prima, è quella che vede un
allungamento in avanti e all’indietro dei muri laterali del Naos che, oltre a
creare lo spazio del Pronao, nella parte posteriore daranno vita ad un altro
ambiente, identico per dimensioni ad esso ma non comunicante con la cella,
chiamato OPISTODOMO, definito da colonne. Tale tipologia si chiamerà
“DOPPIAMENTE IN ANTIS”.
Una terza tipologia vede il Naos completamente isolato rispetto alle colonne
che si trovano davanti ad esso; il Pronao in questo caso sarà aperto anche sui
lati e le colonne saranno libere. Il tempio si chiamerà “PROSTILO” (laddove
Stilos in greco significa colonna e quindi: tempio con le colonne davanti)
Se il tempio presenta un opistodomo anch’esso libero da muri lungo i lati e
preceduto da colonne, come il pronao, allora siamo di fronte ad una quarta tipologia,
variante della terza e il tempio si chiamerà: ANFIPROSTILO.
La tipologia di tempio più comune è però quella che vede il Naos completamente
circondato da colonne; in tal caso il tempio si chiamerà PERIPTERO e il
colonnato prenderà il nome di PERISTASI.

Ulteriori varianti del tempio periptero e diptero sono quelle che vedono le
colonne inserite nella muratura della cella, dalla quale sporgono per metà: in
tal caso, se manca una fila esterna di colonne, si tratterà di un tempio
PSEUDOPERIPTERO, se invece la fila esterna di colonne è ravvisabile, il tempio
sarà PSEUDODIPTERO.

Come prima notato, non si è mai accennato al numero di colonne poste davanti o
ai lati dei templi di cui si è parlato. In realtà esso è un secondo elemento
che concorre alla classificazione dei templi. Il numero di colonne che deve
essere preso in esame, è sempre soltanto quello della facciate principale, che
si apre sul pronao
A prescindere dalla tipologia se le colonne poste davanti all’ingresso sono due
il tempio si chiamerà DISTILO, (appare chiaro che è impossibile avere templi
peripteri distili); se le colonne sono quattro si chiamerà TETRASTILO, se
cinque PENTASTILO, se sono sei ESASTILO, se otto OCTASTILO, e così via.
Difficilmente si troveranno templi con numero dispari di colonne in facciata
-pentastili, eptastili o ennastili (5, 7 o 9 colonne) – in quanto
tendenzialmente le colonne permettono di vedere l’ingresso al Naos dal Pronao.
Nel caso di templi peripteri o distili il numero di colonne da considerare sarà
sempre quello della facciata principale che governerà, nei templi più classici,
quello dei fianchi che sarà il doppio più uno: 6 colonne in facciata, 13 sui
fianchi, 8 in facciata 17 sui fianchi e così via. Le colonne angolari valgono
sia per le colonne della facciata che per quelle dei fianchi.
- La sublimazione e l’imitazione della natura
Elementi sostanziali per identificare le strutture architettoniche greche,
siano essi templi che architetture civili auliche, è il riconoscimento di un
canone formale che regola tutte le parti di esse, dalla spazialità, ai rapporti
tra le parti messe in opera, fino alla decorazione più minuta. Questo insieme
di regole formali, che dirige ed equilibra tutta l’architettura, prende il nome
di “ordine architettonico”; essa è la prima vera concretizzazione delle
riflessioni di tipo estetico e strutturale operata dagli artisti greci sui
rapporti che si intessono tra gli elementi architettonici e decorativi quando
si realizza un edificio.
Ma prima di passare ad analizzare gli ordini architettonici è bene soffermarsi
e analizzare qual è il rapporto che il popolo greco ha con la natura.
Rispetto alla natura i Greci assumono un duplice atteggiamento: di sublimazione
di essa e di imitazione di essa. Seppur il percorso artistico dell’arte greca
porterà a una lenta ma inesorabile tendenza alla conquista della mimesi
(dell’imitazione) della natura, certamente la prima grande fase della cultura
artistica ellenica vede la ricerca filosofica, architettonica, artistica volta
non tanto ad analizzare le singole e variabili espressioni della natura, quanto
ad indagare sui principi primari che regolano la stessa, sulle leggi e sulle
forme immutabili che stanno “dietro” a ogni evento percepibile. Il grande
pensiero greco del periodo arcaico, fondamentalmente è rivolto alla sintesi
conoscitiva più che all’analisi superficiale degli eventi, ciò porta a una vera
e profonda conoscenza della realtà, una conoscenza che supera i limiti della
variabilità dei fenomeni naturali e si indirizza verso la possibilità di
cogliere l’essenza di essi.

Rispetto a un atteggiamento che vede la necessità di indagare sulla natura
prescindendo dalle forme variabili, la necessità di “imitare” queste ultime
caratterizza la fase tardo-classico ed ellenistica dell’arte greca. Verso la
metà del V secolo a.C., infatti, si passa a un atteggiamento rispetto agli
eventi naturali totalmente differente rispetto a quello arcaico; la natura
viene indagata in tutte le sue manifestazioni, la necessità dell’artista è
quella di riprendere le forme variabili, di concentrarsi sulla capacità di
riproporre in scultura e in pittura, la vita delle cose – siano esse piante,
animali, esseri umani. La ricerca delle forme primarie, e dei principi primi
che muovono le manifestazioni naturali, lascia il posto allo studio sistematico
degli elementi naturali, ciò porta a un’esaltazione del virtuosismo degli
artisti, a un’arte che tende ad abbellire e arricchire i luoghi della vita
quotidiana.
- L’ordine dorico
L’ordine architettonico è un sistema perfetto di relazione tra le singole parti
che partecipano alla creazione di un organismo architettonico; l’ordine
architettonico è la massima espressione del rapporto che l’uomo ha con la
natura, è la massima espressione della conoscenza delle più profonde leggi
naturali, la massima espressione della razionalità umana applicata alla natura.
L’ordine architettonico è la più alta creazione dello spirito dell’Uomo.
La riflessione teorica che porta i Greci a creare gli ordini architettonici si
forma in ambiente miceneo. La struttura della Porta dei Leoni è paradigmatica
in tal senso; in essa si riconosce il germe del sistema trilitico ed essa è, in
realtà, il primo frutto concreto di un processo conoscitivo volto non tanto a
riproporre nell’architettura le forme che imitano la natura, quanto a concepire
un organismo che, seppur creato dall’uomo, sia totalmente naturale, risponda
alle medesime leggi che regolano tutte le forme naturali, pur essendo una pura
creazione dell’intelletto umano.
Dopo gli anni della cosiddetta “formazione” - il medioevo ellenico - durante il
periodo arcaico, il pensiero greco si concentra sulla ricerca dei principi primi
delle forme assolute che stanno dietro ad ogni forma variabile del reale
(sublimazione della natura). Ciò porta a superare la variabilità delle
conseguenze di cause di ordine statico o fisico che regolano l’equilibrio delle
forme naturali, portando l’artista a cercare di comprendere proprio queste
cause, il modo, ovvero, come gli elementi della natura interagiscono fra loro,
per comprendere quale sarà l’effetto di questa cause, ossia quale deformazione
si manifesterebbe in seguito all’interazione tra due elementi.
Tornando alla Porta dei Leoni, si è notato come l'architrave fosse più alto al
centro; questa forma non scaturiva da una riflessione meramente estetica ma era
figlia di un attento studio di tipo statico su come un elemento portato, come
un architrave, poteva deformarsi se sollecitato da forse fisiche che tendevano
a schiacciarlo.
Dalla riflessione attorno a questi eventi naturali ma non superficiali, nasce
il primo e più importante degli ordini architettonici concepiti in Grecia,
l’Ordine Dorico.
Il dorico è l’Ordine più perfetto del mondo greco, è l’ordine in cui nulla è
lasciato all’invenzione e alla fantasia, ma dove tutto è frutto di deduzione
coltissima sui rapporti che regolano la natura, arrivando a definire la forma
più naturale e allo stesso tempo meno imitativa possibile dell’arte di tutti i
tempi.

Appare chiaro, in questa lunga riflessione sul concetto di armonia di Le
Corbusier, come essa riguardi l’organizzazione logica degli elementi in base
all’affermazione dell’esistenza di un ordine naturale che tocca la parte più
intima dell’uomo, ma a questo punto è l’uomo che deve intervenire per ricreare,
nell’architettura, questa armonia.

L’armonia (l’emozione) è, quindi, per Le Corbusier, raggiungibile solo
attraverso un processo di purificazione, di sacrificio del superfluo per
raggiungere la forma pura: L’emozione da cosa nasce? Da un rapporto determinato
tra elementi categorici: cilindri, pavimento levigato, muri levigati. Da una
concordanza con le cose del luogo. Da un sistema plastico che distende i suoi
effetti su ogni parte della composizione. Da un’unità di idea che va dall’unità
della materia fino all’unità della modanatura.
Il sacrificio di ogni superfluo porta al riconoscimento di un’unità formale che
dirige e regola tutte le forme variabili, superandole; e questa unità viene
riconosciuta solo se viene concepita dall’essere umano: L’emozione nasce
dall’unità di intenzione. Dalla fermezza impassibile che ha tagliato il marmo
con la volontà di raggiungere la dimensione più pura, più decantata, più economica.
Si è sacrificato, pulito fino al momento in cui non c’era più nulla da
togliere, in cui non c’era da lasciare altro che queste cose concise e violente
che suonano in modo chiaro e tragico come trombe di bronzo
Ma allora, essendo frutto di un processo conoscitivo e depurativo degli
elementi accidentali, che fondamentalmente compongono la variabilità della
natura percepita, come nasce l’ordine dorico? Cosa fa di questa lineare messa
in opera di elementi semplicissimi - due colonne e un architrave – il sistema
più perfetto mai concepito dall’essere umano?
Afferma sempre Le Corbusier: I poeti esegeti hanno affermato che la colonna
dorica è ispirata a un albero che si drizza dal suolo, senza base, eccetera,
prova che ogni forma d’arte bella è tratta dalla natura. È del tutto falso,
poiché l’albero del tronco diritto è sconosciuto in Grecia, dove non crescono
che pini intristiti e ulivi contorti. I greci hanno creato un sistema
plastico facendo operare direttamente e potentemente i nostri sensi: colonne,
scanalature delle colonne, trabeazione complessa e carica di intenzioni,
gradini che contrastano e collegano il tutto all’orizzonte. Essi hanno
applicato le più sapienti deformazioni, apportando alla modanatura un
adattamento impeccabile alle leggi dell’ottica.
Bisogna mettersi bene in testa che il dorico non cresceva nei prati con
gli asfodeli, e che è una pura creazione dello spirito. Il sistema plastico ne
risulta così puro che si ha la sensazione dell’elemento naturale. Ma
attenzione, è un’opera totale dell’uomo, che ci dà la piena perfezione di
un’armonia profonda. Le forme sono così svincolate dagli aspetti della natura
(e quale superiorità sull’egizio e sul gotico), sono così ben studiate in
rapporti ragionati di luce e di materia da apparire come collegate al cielo,
alla terra, naturalmente. Ciò crea un fatto altrettanto naturale per il nostro
intendimento del fatto “mare” o del fatto “montagna”. Quali opera dell’uomo
hanno toccato questo vertice?
Come si raggiunge, in definitiva, tale perfezione che abbiamo letto nelle
parole di Le Corbusier?

A questa perfezione si arriva partendo dalla Porta dei Leoni, dalla primordiale
canonizzazione razionale del sistema trilitico.
L’ordine dorico è formato essenzialmente da tre elementi che interagiscono tra
loro: due stipiti cilindrici (le colonne) e un architrave retto da essi.
Le riflessioni di ordine statico, che muovono dalla giustapposizione di due
colonne e un architrave, nascono da uno studio relativo al modo in cui vengono
scaricate sul terreno le forze verticali che insistono sull’architrave e,
tramite esso, sulle colonne. Al di là dei calcoli statici al fine di poter
creare un’architettura stabile, quello che appare fondamentale per gli
architetti greci del periodo arcaico è la trasposizione in forme concrete delle
deformazioni che interessano i singoli elementi, ciò porta alla creazione di un
organismo architettonico che, pur affermando la scelta di ragionare per forme
primarie e geometriche, diventa vibrante e vivo come solo un vero elemento
naturale può essere.
Le colonne doriche, composte da elementi litici circolari chiamati ROCCHI e
scanalate con solchi verticali a spigolo vivo (SCANALATURE), in realtà pur essendo
cilindriche diventano la deformazione logica del cilindro stesso, in quanto
sottoposto a una serie di sollecitazioni statiche che lo schiacciano. Effetto
di questo schiacciamento è un rigonfiamento del fusto verso la base,
esattamente nel terzo medio inferiore, che si chiama ENTASI.
Sempre per rispondere a necessità strutturali, la colonna si allarga nella
parte inferiore risultando quindi rastremata verso l’alto, di modo che le forze
possano essere scaricate a terra in maniera più equa e il sistema risultare più
stabile; inoltre, questo allargamento le permette di ergersi direttamente sullo
stilobate senza bisogno di base
Al di sopra della colonna si trova la TRABEAZIONE formata da tre fasce
orizzontali, l’ARCHITRAVE quella più in basso, il FREGIO nella fascia
intermedia e la CORNICE in quella più alta. L’architrave, sempre liscio
nell’ordine dorico, non poggia però direttamente sulla colonna ma su un
elemento che fa da raccordo, punto chiave per la corretta distribuzione delle
forze sul fusto e quindi a terra, che si chiama CAPITELLO. Il capitello dorico
è, anch’esso, il risultato di un’attenta riflessione sulle deformazioni che
intervengono nel momento in cui un elemento si trova schiacciato tra una forza
che spinge verso il basso (l’architrave), e viene intercettata da una che
risponde in maniera uguale e contraria (la colonna). Il capitello dorico è il
frutto più perfetto di questa riflessione; esso è composto da due elementi: una
sorta di tavoletta litica detta ABACO, sotto alla quale si pone un ECHINO a
forma troncoconica o, meglio, di cuscinetto schiacciato.
La trabeazione dorica è un organismo piuttosto complesso, anch’esso figlio di
deduzioni logiche di ordine costruttivo e non semplicemente frutto di
decorazione.

I triglifi sono tavolette che presentano tre fasce divise da scanalature
verticali e, almeno in origine, dovevano coprire la testata dei travetti di
legno, posti sull’architrave che servivano per la tessitura del solaio. Le
metope, invece, di forma quadrata, coprono lo spazio tra i triglifi e ospitano
la decorazione vera e propria che, assieme alle immagini che vedremo nei
timpani del tempio, chiariscono a chi è dedicata la costruzione.
L’ordine ionico
L’ordine ionico

Proprio intendendo il rapporto con la natura basato sulla necessità di
comprendere le ragioni proprie e intime di essa, quindi di sublimarla andando
oltre l’apparenza esteriore, nell'ordine ionico si ravvisano le medesime
ragioni proprie dell’ordine dorico: il desiderio di creare una struttura che
superi la variabilità naturale, che riesca a intendere i rapporti più intimi
che si ravvisano tra le parti e il tutto, la necessità di evidenziare verità
formali non percepibili attraverso i sensi. Tuttavia, a differenza dell’ordine
dorico, lo ionico mostra una sorta di intenerimento, un’eleganza sottile tanto
da essere stato inteso dai poeti esegeti come la “figura” della femminilità
accanto a quella della “mascolinità” propria del dorico.

Analizzando le peculiarità dell’ordine ionico si nota che, così come per
l’ordine dorico, nei templi ionici le colonne poggiano sempre su uno stilobate
e, allo stesso modo, esse reggono una trabeazione complessa. Ma le differenze
con il dorico sono ravvisabili in tutte le componenti del complesso sistema
architettonico, dalla colonna, al rapporto tra essa e il basamento, dalla forma
del capitello fino alla redazione della trabeazione.
Il capitello, come quello dorico, è formato da un abaco ed un echino la cui
forma è strettamente collegata alla funzione che esso ha, ovvero l’accogliere e
distribuire sul fusto della colonna le forze che provengono dall’alto. A
differenza dell’abaco che mantiene la sua forma di tavoletta, pur avendo i lati
leggermente concavi, l’echino mostra una risposta molto più complessa alla
sollecitazione statica cui è sottoposto. Così come nel capitello dorico, anche
in ionico l’echino ha una forma che dipende dalle forze che riceve dalla
trabeazione, comportandosi anch’esso come una sorta di guarnizione, a
differenza di quello dorico l’echino sembra scivolare a destra e a sinistra,
arrotolandosi su se stesso formando delle volute spiraliformi. Pur non avendo
alcun riscontro nelle forme naturali, le volute sono veramente l’immagine di
una deformazione ma essa viene dissimulata dalla necessità di abbellire,
alleggerire e rendere più leggiadra una forma secca ed essenziale. Contribuisce
a questa eleganza decorativa l’arricchimento del capitello con palmette, frecce
e ovuli, che sembrano ornare un secondo echino simile a quello dorico
parzialmente nascosto dalle volute.
La trabeazione ionica è divisa, anch’essa, in tre fasce: un architrave, un
fregio e una cornice. Se non si hanno grosse differenze rispetto all’ordine
ionico nell’architrave, poggiante direttamente sul capitello, che a volte può
essere non liscio ma tripartito, o nella cornice, la grande novità sta nel
fregio, fascia intermedia ovviamente tra architrave e cornice.

Ci si trova davanti a due diversi modi di raccontare una storia; ciò implica
una serie di riflessioni su quello che sta succedendo nel mondo greco perché,
se nel mondo che concepisce l’ordine dorico il rapporto con lo spazio e
l’azione nello spazio è ancora timido e incerto, nel mondo ionico esso appare
sempre più maturo, sempre più sicuro e più profondo. L’azione che si nota nello
spazio ristretto della metopa è chiusa, comprende il rapporto diretto tra due
personaggi, non si espande e non prevede soprese o sviluppi temporali; l’azione
che si svolge nel fregio continuo ionico prevede, invece, l’interazione
continua tra tutti i personaggi agenti; essa si svolge secondo un continuo
andirivieni di relazioni e di situazioni, un’onda di moto parte dall’angolo più
esterno del tempio e si svolge tumultuosamente percorrendo tutto il fregio, a
volte tutto il perimetro della peristasi, inseguita dalla luce che non si ferma
davanti la grossa massa plastica astratta dei triglifi ma fluisce attraverso un
sottile gioco di toni e semitoni, di grigi e di chiari rendendo tutta la fascia
vibrante.
Ed è proprio questo nuovo rapporto con la luce alla base della straordinaria
esperienza dell’ordine dorico e di quello ionico. Nell’ordine dorico,
risolvendosi in una serie di scarti violenti tra luminosità e ombra, la luce
supera in maniera veloce le scanalature a spigolo vivo della colonna evitando
ogni mezzi toni e ogni pittoricismo, così come costretta, dall’avanzamento dei
triglifi, si concentra sullo spessore tagliente delle sagome dei personaggi che
avanzano verso l’aria dal fondo amorfo delle metope, costringendoli quasi
all’azione minima e spesso congelata, dalla profonda ombra dei loro stessi
contorni.
Molti aspetti dell'ordine ionico, quali il fregio continuo, le volute, la
cornice… si ritrovano nell’ordine corinzio, quello più conosciuto, più imitato
e più variato di tutti gli ordini nati in Grecia. Proprio per questa sua
versatilità appare più calzante utilizzare il termine “stile” affiancato a
Corinzio, dato che in esso viene a mancare quella solidità teorica volta al
riconoscimento del senso della natura, che aveva caratterizzato il dorico e lo
ionico. Certamente lo ionico, con la sua dose di eleganza e di raffinatezza
formale, con l’indugiare sulle decorazioni - spesso fini a se stesse -, con la
nuova attenzione verso la natura che, anche se sublimata nel capitello,
diventava fonte di ispirazione per il racconto complesso di una storia nel
fregio, è alla base della rivoluzione stilistica corinzia, tanto che molti dei
motivi solo accennati nell’ordine ionico vengono svolti ed esasperati nello
stile corinzio, che nasce agli albori del IV secolo.
Già nella colonna corinzia le somiglianze con quella ionica sono evidenti,
sebbene sia leggermente più slanciata e mostri un’ancòra minore rastremazione
verso l’alto. Allo stesso modo, anche la base, è molto simile, sebbene mostri
una maggiore varietà di elementi decorativi o di arricchimento dell’articolazione
formale.

Il processo artistico percorso dai Greci, che lentamente passano dalla
necessità di conoscere le forme primarie naturali, per poi cercare di
comprendere la variabilità dei fenomeni, raggiunge l’acme di quest’ultimo
processo mimetico nella redazione del capitello corinzio. Le foglie di acanto
possono essere, e di fatto lo saranno, foglie di palma, foglie di edera ecc, e
proprio in questa varietà, enunciata dal canestro di foglie di acanto e poi
esplosa nell’utilizzo di altri elementi fitomorfi di riferimento, si deve
riscontrare l’assoluta padronanza di una tecnica raffinatissima da parte degli
artisti greci, in grado oramai di imitare la natura in tutte le sue forme,
raggiungendo virtuosismi mai notati prima. Non è un caso che il capitello
corinzio, proprio per la possibilità di essere arricchito con altri elementi
sempre tratti dalla natura, per la sua versatilità, per essere il ”luogo” dove
poter dar voce a un virtuosismo senza pari, sarà quello che avrà la maggior
fortuna in epoca ellenistica e poi nel mondo romano e quindi rinascimentale.
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