Roma Paleocristiana- Santa Maria Maggiore



La vacanza dell’Imperatore da Roma provoca un lento ma inesorabile decadimento del suo potere ed un conseguente accrescimento di quello del Papa che finirà col diventare il vero sovrano non solo della città ma di un sempre più largo numero di cristiani. Ciò porta ad una serie di interventi atti a rendere concreta tale ascesa del Papa e cioè la massiccia costruzione di chiese, non più nella periferia della città ma dentro le mura e a ridosso del Foro. Per volontà di papa Sisto III, 432 viene costruita sull’Esquilino, poco distante dal Colosseo, in uno spazio suburbano adibito alla costruzione di Villae, la Basilica di Santa Maria Maggiore, dedicata alla Vergine e in stretta relazione alle decisioni prese ai Concili di Efeso di Tessalonica riguardo alla natura della Madonna che, condannando le tesi eretiche del vescovo Nestorio, veniva dichiarata Theotokos (Madre di Dio) e Vergine prima, durante e dopo il parto.
L’edificio appartiene al tipo ormai codificato delle basiliche a tre navate divise da colonne e monoabsidate, in esso si riscontra una serie di attenti riferimenti al passato classico che risultano tangibili nell’uso dei capitelli ionici, di una trabeazione, di una scelta attenta di colonne e dell’organizzazione della decorazione parietale. La basilica, così come doveva apparire appena costruita, era luminosissima, rifulgente di mosaici a fondo oro, ricca di stucchi, in tutto simile ad un’aula imperiale romana; ciò che cambiava rispetto a quest’ultima, ovviamente, era il tema della decorazione.
La necessità di rendere comprensibili da tutti le decisioni dei Concili, spinge il papa a proporre per l’interno della Basilica non più una decorazione aniconica con foglie d’oro ma una serie di immagini che potessero istruire il popolo, facendo da supporto alla Liturgia e rendendo visibili quelle doti date a Maria dal Concilio.
I mosaici si stendevano su tutte le pareti della costruzione, scomparsi quelli della controfacciata e dell’abside, rimangono lacerti (abbastanza consistenti), della decorazione della navata centrale mentre è intatto l’arco absidale (ora arco trionfale). Data la chiara differenza stilistica tra i mosaici dell’arco e quelli della navata, per un certo periodo furono ipotizzate due diverse fasi decorative dello spazio ecclesiastico, una serie di somiglianze, però, portò a definire indiscutibilmente non solo una cronologia identica, ma anche l’appartenenza ad una stessa bottega dei mosaicisti che operarono nella basilica.
Ciò nonostante le differenze sono molto evidenti.
Le pareti della navata sopra la trabeazione sono bucate da numerose finestre di ampiezza considerevole, inquadrate da due lesene in stucco, al di sotto delle quali, in edicole sormontate da frontoni alternativamente timpanati e piattabandati, si pongono dei veri e propri quadri musivi raccontanti storie tratte dal Libro dell’Esodo, al fine di poter proporre un’analogia tra l’Antico Testamento interpretato come la “figura” del Nuovo.
Sull’arco absidale il posizionamento delle raffigurazioni, invece, cambia completamente; non si assiste più ad una serie di scene inquadrate da cornici classiche ma ad una sorta di immagine continua, che si stende sulla parete quasi come un tappeto, senza alcuna partizione architettonica. Se tale decorazione musiva, rappresentante Scene dell’Infanzia di Cristo, ad un’analisi superficiale, sembra totalmente diversa rispetto a quelle della navata, per il rapporto che si intesse tra personaggi rappresentati e lo spazio (che è quasi classico nei pannelli della navata mentre è inesistente nelle scene dell’arco absidale), approfondendo lo studio si nota che identica è la matrice culturale, identica la mano, identico l’intento decorativo programmato.
Ciò che certamente cambia è il punto di riferimento dei mosaicisti per “impaginare” le decorazioni: infatti, come per la navata si può ipotizzare un riferimento al rapporto tra immagine e testo proprio dei codici miniati, per l’arco absidale il referente immediato è il rotulo, in cui manca la distribuzione geometrica e le figure si stendono come su un vero e proprio tappeto.
Il ruolo delle immagini per la comprensione dei misteri divini diventa, in questo momento, fondamentale per la divulgazione della fede cattolica. Strettamente collegata a questa ultima necessità è la divulgazione dei Codici Miniati (dove l’immagine è impaginata esattamente come nei libri moderni) e, principalmente, dei Rotuli. Il rotulo altro non è che una lunga striscia di pergamena con le scritte realizzate per essere lette dal prete sull’ambone e immagini capovolte in maniera tale da poter essere guardate dal popolo che si trovava nella navata.

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