Michelangelo - Biblioteca Laurenziana



Poco distante dalle Cappelle medicee, Michelangelo interviene per riorganizzare lo spazio della Biblioteca Laurenziana e, principalmente, del vestibolo di essa, di dimensioni e proporzioni complicatissime (molto alto e stretto, col piano di calpestio più in basso rispetto a quello della sala di lettura della Biblioteca). Per poter ovviare a questa serie di problemi, che rendevano percettibilmente inconsueto e sgraziato il vestibolo, Michelangelo interviene mettendo in crisi in maniera definitiva i valori artistici e architettonici classici e continuando quell’operazione di desemantizzazione che aveva iniziato nelle Cappelle e che lo aveva portato ad utilizzare le lesene come elementi che spingevano contro il muro e non soltanto come strutture portanti e reggenti la trabeazione. Nel vestibolo della Biblioteca tale processo raggiunge livelli altissimi poiché l’artista per ricomporre un’armonia volumetrica, evidentemente non percepibile, interviene interpretando le colonne non più dal punto di vista statico ma, piuttosto, come elementi atti a dare ritmo anche cromatico agli involucri murari e, contemporaneamente, sottolineando il valore materico della pietra serena, proponendo un dialogo serrato tra esse e il muro contro il quale si pongono. La prima operazione che Michelangelo compie è l’innalzamento del piano del calpestio, attraverso il posizionamento di una cornice in pietra serena sulla parete, creando una corrispondenza tra questo e quello della Biblioteca interna, raggiunta tramite una enorme e dilagante scala che (realizzata in seguito da Buontalenti), invade gran parte dello spazio del vestibolo. La presenza della scala sovradimensionata rispetto allo spazio angusto provoca un’immediata sensazione di diminuzione dell’altezza del vano che acquista una armonia nuova. A questo punto l’artista interviene sull’involucro murario scandendo le pareti attraverso colonne binate che vengono appoggiate contro il muro e, quindi, mettendo in discussione il valore della colonna, intesa come elemento portante, che essa si porta dietro dall’architettura greca. Nel mondo classico, infatti, essa è un cilindro rastremato verso l'alto, atto a sostenere il peso e, per tal motivo, soggetto a modifiche formali dipendenti dalle sollecitazioni fisiche alle quali è sottoposto (per tal motivo, la colonna dorica è anche rigonfia verso la base, quasi come se il fusto si deformasse a causa del peso della trabeazione). Indifferente a tale tradizione, Michelangelo utilizza la colonne ponendo l’attenzione sulla loro forma e sulla materia di cui la stessa è fatta: pietra serena grigio-verde e, sospendendole rispetto al naturale piano di calpestio, ponendo sotto di esse delle mensole atte a reggerle, elimina in maniera definitiva la primaria ragion d’essere delle stesse, che cominciano a spingere contro il muro che quasi si ritrae creando una nicchia dove esse trovano alloggiamento. Ciò che si evidenzia, quindi, è un vero e proprio rapporto dialettico tra colonne e muro, dello stesso tipo di quello già visto nella Sacrestia Nuova di san Lorenzo, ma con una sottolineatura maggiore della superiorità della colonna rispetto al muro che è costretto a scostarsi per far spazio ad essa. Il risultato dell’operazione artistica di Michelangelo è una definitiva presa di distanza da parte degli architetti dalle regole classiche e, quindi, un avvio verso una libertà nell’uso di queste che sfocerà nelle stupefacenti architetture barocche.

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