I templi e gli ordini architettonici

I templi

I templi sono gli esempi massimi dell’architettura del mondo ellenico e, in un certo senso, continuano a essere le strutture architettoniche più perfette mai concepite dall’uomo.
Ma al di là di questa premessa, essi sono edifici di estrema semplicità, formati, essenzialmente, da due ambienti rettangolari comunicanti: una cella o NAOS - che ospita il simulacro della divinità e pertanto è fruibile solo dai sacerdoti - comunicante con il vestibolo che la precede, dove (almeno per i templi del periodo arcaico), rimane il popolo, detto PRONAO.
Data la sua importanza, l’edificio è rialzato rispetto al piano di calpestio, e si erge su un basamento chiamato “STILOBATE”, raggiungibile superando i 3 gradini del cosiddetto “CREPIDOMA”.
Per poter avere una chiara conoscenza delle tipologie architettoniche dei templi è necessaria una attenta classificazione di essi in base almeno a 3 parametri:
1-             il rapporto tra le colonne e gli spazi del Naos e del Pronao
2-             il numero delle colonne
3-             l’ordine architettonico


Classificazione in base al rapporto tra colonne e spazi del Naos e del Pronao.

La tipologia più semplice del tempio è quella che vede l’edificio formato da un Naos i cui muri laterali avanzano oltre il muro trasversale che lo divide dal Pronao, inquadrando le colonne. Questa tipologia di tempio è detta “IN ANTIS
La seconda tipologia, poco più complessa della prima, è quella che vede un allungamento in avanti e all’indietro dei muri laterali del Naos che, oltre a creare lo spazio del Pronao, nella parte posteriore daranno vita ad un altro ambiente, identico per dimensioni ad esso ma non comunicante con la cella, chiamato OPISTODOMO, definito da colonne. Tale tipologia si chiamerà “DOPPIAMENTE IN ANTIS”.
Una terza tipologia vede il Naos completamente isolato rispetto alle colonne che si trovano davanti ad esso; il Pronao in questo caso sarà aperto anche sui lati e le colonne saranno libere. Il tempio si chiamerà “PROSTILO” (laddove Stilos in greco significa colonna e quindi: tempio con le colonne davanti)
Se il tempio presenta un opistodomo anch’esso libero da muri lungo i lati e preceduto da colonne, come il pronao, allora siamo di fronte ad una quarta tipologia, variante della terza e il tempio si chiamerà: ANFIPROSTILO.
La tipologia di tempio più comune è però quella che vede il Naos completamente circondato da colonne; in tal caso il tempio si chiamerà PERIPTERO e il colonnato prenderà il nome di PERISTASI.
Una variante della tipologia del tempio Periptero è quella in cui il colonnato è composto da una doppia fila di colonne, in tal caso saremo di fronte ad un tempio DIPTERO. Tale tempio, rarissimo in età classica, sarà piuttosto comune nel periodo ellenistico
Ulteriori varianti del tempio periptero e diptero sono quelle che vedono le colonne inserite nella muratura della cella, dalla quale sporgono per metà: in tal caso, se manca una fila esterna di colonne, si tratterà di un tempio PSEUDOPERIPTERO, se invece la fila esterna di colonne è ravvisabile, il tempio sarà PSEUDODIPTERO.
La classificazione dei templi appena illustrata non è ovviamente esaustiva delle centinaia di templi giunti a noi dall’epoca greca: si nota, infatti, una grande varietà spaziale, dovuta alla contaminazione tra le varie tipologie che concorrono alla creazione di strutture complesse e in cui la libertà compositiva è sempre maggiore.
Classificazione in base al numero delle colonne
Come prima notato, non si è mai accennato al numero di colonne poste davanti o ai lati dei templi di cui si è parlato. In realtà esso è un secondo elemento che concorre alla classificazione dei templi. Il numero di colonne che deve essere preso in esame, è sempre soltanto quello della facciate principale, che si apre sul pronao
A prescindere dalla tipologia se le colonne poste davanti all’ingresso sono due il tempio si chiamerà DISTILO, (appare chiaro che è impossibile avere templi peripteri distili); se le colonne sono quattro si chiamerà TETRASTILO, se cinque PENTASTILO, se sono sei ESASTILO, se otto OCTASTILO, e così via. Difficilmente si troveranno templi con numero dispari di colonne in facciata -pentastili, eptastili o ennastili (5, 7 o 9 colonne) – in quanto tendenzialmente le colonne permettono di vedere l’ingresso al Naos dal Pronao.

Nel caso di templi peripteri o distili il numero di colonne da considerare sarà sempre quello della facciata principale che governerà, nei templi più classici, quello dei fianchi che sarà il doppio più uno: 6 colonne in facciata, 13 sui fianchi, 8 in facciata 17 sui fianchi e così via. Le colonne angolari valgono sia per le colonne della facciata che per quelle dei fianchi.

Classificazione in base all’Ordine architettonico
- La sublimazione e l’imitazione della natura
Elementi sostanziali per identificare le strutture architettoniche greche, siano essi templi che architetture civili auliche, è il riconoscimento di un canone formale che regola tutte le parti di esse, dalla spazialità, ai rapporti tra le parti messe in opera, fino alla decorazione più minuta. Questo insieme di regole formali, che dirige ed equilibra tutta l’architettura, prende il nome di “ordine architettonico”; essa è la prima vera concretizzazione delle riflessioni di tipo estetico e strutturale operata dagli artisti greci sui rapporti che si intessono tra gli elementi architettonici e decorativi quando si realizza un edificio.
Ma prima di passare ad analizzare gli ordini architettonici è bene soffermarsi e analizzare qual è il rapporto che il popolo greco ha con la natura.

Rispetto alla natura i Greci assumono un duplice atteggiamento: di sublimazione di essa e di imitazione di essa. Seppur il percorso artistico dell’arte greca porterà a una lenta ma inesorabile tendenza alla conquista della mimesi (dell’imitazione) della natura, certamente la prima grande fase della cultura artistica ellenica vede la ricerca filosofica, architettonica, artistica volta non tanto ad analizzare le singole e variabili espressioni della natura, quanto ad indagare sui principi primari che regolano la stessa, sulle leggi e sulle forme immutabili che stanno “dietro” a ogni evento percepibile. Il grande pensiero greco del periodo arcaico, fondamentalmente è rivolto alla sintesi conoscitiva più che all’analisi superficiale degli eventi, ciò porta a una vera e profonda conoscenza della realtà, una conoscenza che supera i limiti della variabilità dei fenomeni naturali e si indirizza verso la possibilità di cogliere l’essenza di essi.
Dal punto di vista concreto, tale atteggiamento volto a sublimare la natura, si manifesta in architetture che non mostrano “forme” naturali ma “realtà” naturali, che ripropongono un processo creativo che supera l’atto percettivo, che manifestano nella pietra, tramite le modanature, tramite le decorazioni anche più minute, solo gli effetti dei rapporti naturali e immediatamente rimandano a realtà impercettibili ma, proprio per questo, più vere perché invariabili.
Rispetto a un atteggiamento che vede la necessità di indagare sulla natura prescindendo dalle forme variabili, la necessità di “imitare” queste ultime caratterizza la fase tardo-classico ed ellenistica dell’arte greca. Verso la metà del V secolo a.C., infatti, si passa a un atteggiamento rispetto agli eventi naturali totalmente differente rispetto a quello arcaico; la natura viene indagata in tutte le sue manifestazioni, la necessità dell’artista è quella di riprendere le forme variabili, di concentrarsi sulla capacità di riproporre in scultura e in pittura, la vita delle cose – siano esse piante, animali, esseri umani. La ricerca delle forme primarie, e dei principi primi che muovono le manifestazioni naturali, lascia il posto allo studio sistematico degli elementi naturali, ciò porta a un’esaltazione del virtuosismo degli artisti, a un’arte che tende ad abbellire e arricchire i luoghi della vita quotidiana.


- L’ordine dorico
L’ordine architettonico è un sistema perfetto di relazione tra le singole parti che partecipano alla creazione di un organismo architettonico; l’ordine architettonico è la massima espressione del rapporto che l’uomo ha con la natura, è la massima espressione della conoscenza delle più profonde leggi naturali, la massima espressione della razionalità umana applicata alla natura. L’ordine architettonico è la più alta creazione dello spirito dell’Uomo.
La riflessione teorica che porta i Greci a creare gli ordini architettonici si forma in ambiente miceneo. La struttura della Porta dei Leoni è paradigmatica in tal senso; in essa si riconosce il germe del sistema trilitico ed essa è, in realtà, il primo frutto concreto di un processo conoscitivo volto non tanto a riproporre nell’architettura le forme che imitano la natura, quanto a concepire un organismo che, seppur creato dall’uomo, sia totalmente naturale, risponda alle medesime leggi che regolano tutte le forme naturali, pur essendo una pura creazione dell’intelletto umano.

Dopo gli anni della cosiddetta “formazione” - il medioevo ellenico - durante il periodo arcaico, il pensiero greco si concentra sulla ricerca dei principi primi delle forme assolute che stanno dietro ad ogni forma variabile del reale (sublimazione della natura). Ciò porta a superare la variabilità delle conseguenze di cause di ordine statico o fisico che regolano l’equilibrio delle forme naturali, portando l’artista a cercare di comprendere proprio queste cause, il modo, ovvero, come gli elementi della natura interagiscono fra loro, per comprendere quale sarà l’effetto di questa cause, ossia quale deformazione si manifesterebbe in seguito all’interazione tra due elementi.
Tornando alla Porta dei Leoni, si è notato come l'architrave fosse più alto al centro; questa forma non scaturiva da una riflessione meramente estetica ma era figlia di un attento studio di tipo statico su come un elemento portato, come un architrave, poteva deformarsi se sollecitato da forse fisiche che tendevano a schiacciarlo.
Dalla riflessione attorno a questi eventi naturali ma non superficiali, nasce il primo e più importante degli ordini architettonici concepiti in Grecia, l’Ordine Dorico.
Il dorico è l’Ordine più perfetto del mondo greco, è l’ordine in cui nulla è lasciato all’invenzione e alla fantasia, ma dove tutto è frutto di deduzione coltissima sui rapporti che regolano la natura, arrivando a definire la forma più naturale e allo stesso tempo meno imitativa possibile dell’arte di tutti i tempi.
Per comprendere l’ordine dorico, è necessario riprendere il pensiero del più grande architetto teorico del ‘900, Le Corbusier, che nel suo volume “Verso un’architettura” afferma: Ciò che distingue un bel viso è la qualità dei lineamenti, è un valore del tutto particolare dei rapporti che li uniscono. La forma del viso appartiene a ogni individuo; naso, bocca, fronte, eccetera, così come una proporzione media tra questi elementi. Ci sono milioni di visi costruiti su questa tipologia essenziale; ma sono tutti differenti tra loro: variazione della qualità dei tratti e variazione dei rapporti che li uniscono. Si dice che un viso è bello quando la precisione del modellato e la disposizione dei lineamenti rivelano proporzioni “armoniose”, perché provocano nel nostro intimo, oltre i nostri sensi, una risonanza, una specie di cassa armonica che si mette a vibrare. Traccia indefinibile dell’assoluto preesistente al fondo del nostro essere. Questa cassa armonica che vibra in noi è il nostro criterio dell’armonia. Questa deve essere l’asse sul quale l’uomo è organizzato in accordo perfetto con la natura e, forse, con l’universo, asse di organizzazione, sul quale necessariamente si allineano tutti i fenomeni o tutti gli oggetti della natura; questo asso ci fa supporre una unità di gestione dell’universo, ammettere una volontà unica all’origine. Le leggi della fisica sarebbero conseguenti a quest’asse, e se riconosciamo (e amiamo) la scienza e le sue opere è perché le une e l’altra rimandano alle prescrizioni di questa volontà prima. […] Di qui, una possibile definizione dell’armonia: momento di accordo con l’asse che è nell’uomo, dunque con le leggi dell’universo – ritorno all’ordine generale.
Appare chiaro, in questa lunga riflessione sul concetto di armonia di Le Corbusier, come essa riguardi l’organizzazione logica degli elementi in base all’affermazione dell’esistenza di un ordine naturale che tocca la parte più intima dell’uomo, ma a questo punto è l’uomo che deve intervenire per ricreare, nell’architettura, questa armonia.
Tornando a Le Corbusier, lo stesso continua affermando: Si sono costruiti sull’Acropoli dei templi che appartengono ad un unico pensiero e hanno raccolto attorno a sé il paesaggio desolato, assoggettandolo alla composizione. Allora, da ogni punto dell’orizzonte sprigiona un unico pensiero. È per questo che non esistono altre opere architettoniche che possiedano questa grandezza. Si può parlare di dorico quando l’uomo, per la nobiltà del suo modo di vedere e il sacrificio completo dell’accidentale, ha raggiunto la regione superiore dello spirito: l’austerità.
L’armonia (l’emozione) è, quindi, per Le Corbusier, raggiungibile solo attraverso un processo di purificazione, di sacrificio del superfluo per raggiungere la forma pura: L’emozione da cosa nasce? Da un rapporto determinato tra elementi categorici: cilindri, pavimento levigato, muri levigati. Da una concordanza con le cose del luogo. Da un sistema plastico che distende i suoi effetti su ogni parte della composizione. Da un’unità di idea che va dall’unità della materia fino all’unità della modanatura.
Il sacrificio di ogni superfluo porta al riconoscimento di un’unità formale che dirige e regola tutte le forme variabili, superandole; e questa unità viene riconosciuta solo se viene concepita dall’essere umano: L’emozione nasce dall’unità di intenzione. Dalla fermezza impassibile che ha tagliato il marmo con la volontà di raggiungere la dimensione più pura, più decantata, più economica. Si è sacrificato, pulito fino al momento in cui non c’era più nulla da togliere, in cui non c’era da lasciare altro che queste cose concise e violente che suonano in modo chiaro e tragico come trombe di bronzo
Ma allora, essendo frutto di un processo conoscitivo e depurativo degli elementi accidentali, che fondamentalmente compongono la variabilità della natura percepita, come nasce l’ordine dorico? Cosa fa di questa lineare messa in opera di elementi semplicissimi - due colonne e un architrave – il sistema più perfetto mai concepito dall’essere umano?
Afferma sempre Le Corbusier: I poeti esegeti hanno affermato che la colonna dorica è ispirata a un albero che si drizza dal suolo, senza base, eccetera, prova che ogni forma d’arte bella è tratta dalla natura. È del tutto falso, poiché l’albero del tronco diritto è sconosciuto in Grecia, dove non crescono che pini intristiti e ulivi contorti.  I greci hanno creato un sistema plastico facendo operare direttamente e potentemente i nostri sensi: colonne, scanalature delle colonne, trabeazione complessa e carica di intenzioni, gradini che contrastano e collegano il tutto all’orizzonte. Essi hanno applicato le più sapienti deformazioni, apportando alla modanatura un adattamento impeccabile alle leggi dell’ottica.
Bisogna mettersi bene in testa che il dorico non cresceva nei prati con gli asfodeli, e che è una pura creazione dello spirito. Il sistema plastico ne risulta così puro che si ha la sensazione dell’elemento naturale. Ma attenzione, è un’opera totale dell’uomo, che ci dà la piena perfezione di un’armonia profonda. Le forme sono così svincolate dagli aspetti della natura (e quale superiorità sull’egizio e sul gotico), sono così ben studiate in rapporti ragionati di luce e di materia da apparire come collegate al cielo, alla terra, naturalmente. Ciò crea un fatto altrettanto naturale per il nostro intendimento del fatto “mare” o del fatto “montagna”. Quali opera dell’uomo hanno toccato questo vertice?
Come si raggiunge, in definitiva, tale perfezione che abbiamo letto nelle parole di Le Corbusier?
Dato che la verità e la conoscenza non risiede nel dato sensibile, ingannevole perché variabile, ma nella forma assoluta che sta all’origine di esso, dai Greci ravvisabile nella figura geometrica, ecco che per poter superare la natura per arrivare all’intimità della natura è necessario ravvisare la forma geometrica che guida il variabile apparente e, allora, se la colonna dorica non imita l’albero ma ne ricalca la sua essenza, ecco è che necessaria ravvisare la forma immutabile comune all’albero e alla colonna nel cilindro. Ogni albero, a prescindere dalla sua forma variabile e spontanea è un cilindro, ogni viso è un ovale, ogni mela è una sfera, ogni montagna è una piramide. Ecco perché il sistema plastico che l’ordine dorico crea dà la sensazione di elemento naturale, perché non imita alcunché ma è la sostanza profonda di qualsiasi fenomeno.
A questa perfezione si arriva partendo dalla Porta dei Leoni, dalla primordiale canonizzazione razionale del sistema trilitico.
L’ordine dorico è formato essenzialmente da tre elementi che interagiscono tra loro: due stipiti cilindrici (le colonne) e un architrave retto da essi.
Le riflessioni di ordine statico, che muovono dalla giustapposizione di due colonne e un architrave, nascono da uno studio relativo al modo in cui vengono scaricate sul terreno le forze verticali che insistono sull’architrave e, tramite esso, sulle colonne. Al di là dei calcoli statici al fine di poter creare un’architettura stabile, quello che appare fondamentale per gli architetti greci del periodo arcaico è la trasposizione in forme concrete delle deformazioni che interessano i singoli elementi, ciò porta alla creazione di un organismo architettonico che, pur affermando la scelta di ragionare per forme primarie e geometriche, diventa vibrante e vivo come solo un vero elemento naturale può essere.
Le colonne doriche, composte da elementi litici circolari chiamati ROCCHI e scanalate con solchi verticali a spigolo vivo (SCANALATURE), in realtà pur essendo cilindriche diventano la deformazione logica del cilindro stesso, in quanto sottoposto a una serie di sollecitazioni statiche che lo schiacciano. Effetto di questo schiacciamento è un rigonfiamento del fusto verso la base, esattamente nel terzo medio inferiore, che si chiama ENTASI.
Sempre per rispondere a necessità strutturali, la colonna si allarga nella parte inferiore risultando quindi rastremata verso l’alto, di modo che le forze possano essere scaricate a terra in maniera più equa e il sistema risultare più stabile; inoltre, questo allargamento le permette di ergersi direttamente sullo stilobate senza bisogno di base
Al di sopra della colonna si trova la TRABEAZIONE formata da tre fasce orizzontali, l’ARCHITRAVE quella più in basso, il FREGIO nella fascia intermedia e la CORNICE in quella più alta. L’architrave, sempre liscio nell’ordine dorico, non poggia però direttamente sulla colonna ma su un elemento che fa da raccordo, punto chiave per la corretta distribuzione delle forze sul fusto e quindi a terra, che si chiama CAPITELLO. Il capitello dorico è, anch’esso, il risultato di un’attenta riflessione sulle deformazioni che intervengono nel momento in cui un elemento si trova schiacciato tra una forza che spinge verso il basso (l’architrave), e viene intercettata da una che risponde in maniera uguale e contraria (la colonna). Il capitello dorico è il frutto più perfetto di questa riflessione; esso è composto da due elementi: una sorta di tavoletta litica detta ABACO, sotto alla quale si pone un ECHINO a forma troncoconica o, meglio, di cuscinetto schiacciato.
La trabeazione dorica è un organismo piuttosto complesso, anch’esso figlio di deduzioni logiche di ordine costruttivo e non semplicemente frutto di decorazione.
Se l’architrave è sempre liscio, è la cornice ad accogliere una modanatura complessa, composta da varie curve concave e convesse che non permettono all’acqua piovana di bagnare le colonne. Tra l’architrave e la cornice si pone la fascia del fregio che, solo nell’ordine dorico, è formata da un’alternanza di elementi lapidei detti TRIGLIFI e METOPE.
I triglifi sono tavolette che presentano tre fasce divise da scanalature verticali e, almeno in origine, dovevano coprire la testata dei travetti di legno, posti sull’architrave che servivano per la tessitura del solaio. Le metope, invece, di forma quadrata, coprono lo spazio tra i triglifi e ospitano la decorazione vera e propria che, assieme alle immagini che vedremo nei timpani del tempio, chiariscono a chi è dedicata la costruzione.

L’ordine ionico
Anche l’ordine ionico, così come l’ordine dorico, rientra nella sezione degli ordini arcaici, a differenza dell’ordine corinzio, più legato al periodo classico ed ellenistico e, quindi, frutto di un modo completamente differente di intendere il rapporto con la natura che diventa di tipo imitativo e non più tendente alla sublimazione di essa.
Proprio intendendo il rapporto con la natura basato sulla necessità di comprendere le ragioni proprie e intime di essa, quindi di sublimarla andando oltre l’apparenza esteriore, nell'ordine ionico si ravvisano le medesime ragioni proprie dell’ordine dorico: il desiderio di creare una struttura che superi la variabilità naturale, che riesca a intendere i rapporti più intimi che si ravvisano tra le parti e il tutto, la necessità di evidenziare verità formali non percepibili attraverso i sensi. Tuttavia, a differenza dell’ordine dorico, lo ionico mostra una sorta di intenerimento, un’eleganza sottile tanto da essere stato inteso dai poeti esegeti come la “figura” della femminilità accanto a quella della “mascolinità” propria del dorico.
In realtà l’eleganza e la raffinatezza ravvisabili nell'ordine ionico sono strettamente collegate alla sua origine che, come si evince dal nome, è ravvisabile nelle Isole Ionie dove, grazie ai traffici commerciali marini, il contatto con culture diverse, spesso di origine orientale, era continuo e favoriva all’arricchimento del linguaggio architettonico e decorativo (si pensi alla cultura cretese rispetto a quella micenea).
Analizzando le peculiarità dell’ordine ionico si nota che, così come per l’ordine dorico, nei templi ionici le colonne poggiano sempre su uno stilobate e, allo stesso modo, esse reggono una trabeazione complessa. Ma le differenze con il dorico sono ravvisabili in tutte le componenti del complesso sistema architettonico, dalla colonna, al rapporto tra essa e il basamento, dalla forma del capitello fino alla redazione della trabeazione.
Analizzando il fusto colonna si evidenzia subito che esso, suddiviso in rocchi, presenta una rastremazione verso l’alto molto meno evidente di quella dorica, non ha l’entasi e le scanalature sono a spigolo piatto. La minore enfasi nella rastremazione fa sì che la colonna necessiti di una base che aiuti a scaricare meglio a terra le forze che provengono dalla trabeazione. La forma della base è abbastanza complessa e spesso varia, ma sempre composta da parti sporgenti dette tori o scozie e da parti concave dette gole.
Il capitello, come quello dorico, è formato da un abaco ed un echino la cui forma è strettamente collegata alla funzione che esso ha, ovvero l’accogliere e distribuire sul fusto della colonna le forze che provengono dall’alto. A differenza dell’abaco che mantiene la sua forma di tavoletta, pur avendo i lati leggermente concavi, l’echino mostra una risposta molto più complessa alla sollecitazione statica cui è sottoposto. Così come nel capitello dorico, anche in ionico l’echino ha una forma che dipende dalle forze che riceve dalla trabeazione, comportandosi anch’esso come una sorta di guarnizione, a differenza di quello dorico l’echino sembra scivolare a destra e a sinistra, arrotolandosi su se stesso formando delle volute spiraliformi. Pur non avendo alcun riscontro nelle forme naturali, le volute sono veramente l’immagine di una deformazione ma essa viene dissimulata dalla necessità di abbellire, alleggerire e rendere più leggiadra una forma secca ed essenziale. Contribuisce a questa eleganza decorativa l’arricchimento del capitello con palmette, frecce e ovuli, che sembrano ornare un secondo echino simile a quello dorico parzialmente nascosto dalle volute.
La trabeazione ionica è divisa, anch’essa, in tre fasce: un architrave, un fregio e una cornice. Se non si hanno grosse differenze rispetto all’ordine ionico nell’architrave, poggiante direttamente sul capitello, che a volte può essere non liscio ma tripartito, o nella cornice, la grande novità sta nel fregio, fascia intermedia ovviamente tra architrave e cornice.
Quest'ultimo, infatti, nell'ordine dorico formato dall’alternanza di triglifi e metope, nell'ordine ionico diventa continuo, ossia non propone più una storia raccontata attraverso episodi finiti inseriti nelle metope ma uno sviluppo lineare di essa, un flusso continuo di azioni e reazioni che rendono percepibili i rapporti di causa/effetto fra i personaggi che lo compongono.

Ci si trova davanti a due diversi modi di raccontare una storia; ciò implica una serie di riflessioni su quello che sta succedendo nel mondo greco perché, se nel mondo che concepisce l’ordine dorico il rapporto con lo spazio e l’azione nello spazio è ancora timido e incerto, nel mondo ionico esso appare sempre più maturo, sempre più sicuro e più profondo. L’azione che si nota nello spazio ristretto della metopa è chiusa, comprende il rapporto diretto tra due personaggi, non si espande e non prevede soprese o sviluppi temporali; l’azione che si svolge nel fregio continuo ionico prevede, invece, l’interazione continua tra tutti i personaggi agenti; essa si svolge secondo un continuo andirivieni di relazioni e di situazioni, un’onda di moto parte dall’angolo più esterno del tempio e si svolge tumultuosamente percorrendo tutto il fregio, a volte tutto il perimetro della peristasi, inseguita dalla luce che non si ferma davanti la grossa massa plastica astratta dei triglifi ma fluisce attraverso un sottile gioco di toni e semitoni, di grigi e di chiari rendendo tutta la fascia vibrante.
Ed è proprio questo nuovo rapporto con la luce alla base della straordinaria esperienza dell’ordine dorico e di quello ionico. Nell’ordine dorico, risolvendosi in una serie di scarti violenti tra luminosità e ombra, la luce supera in maniera veloce le scanalature a spigolo vivo della colonna evitando ogni mezzi toni e ogni pittoricismo, così come costretta, dall’avanzamento dei triglifi, si concentra sullo spessore tagliente delle sagome dei personaggi che avanzano verso l’aria dal fondo amorfo delle metope, costringendoli quasi all’azione minima e spesso congelata, dalla profonda ombra dei loro stessi contorni.


- L’ordine corinzio

Molti aspetti dell'ordine ionico, quali il fregio continuo, le volute, la cornice… si ritrovano nell’ordine corinzio, quello più conosciuto, più imitato e più variato di tutti gli ordini nati in Grecia. Proprio per questa sua versatilità appare più calzante utilizzare il termine “stile” affiancato a Corinzio, dato che in esso viene a mancare quella solidità teorica volta al riconoscimento del senso della natura, che aveva caratterizzato il dorico e lo ionico. Certamente lo ionico, con la sua dose di eleganza e di raffinatezza formale, con l’indugiare sulle decorazioni - spesso fini a se stesse -, con la nuova attenzione verso la natura che, anche se sublimata nel capitello, diventava fonte di ispirazione per il racconto complesso di una storia nel fregio, è alla base della rivoluzione stilistica corinzia, tanto che molti dei motivi solo accennati nell’ordine ionico vengono svolti ed esasperati nello stile corinzio, che nasce agli albori del IV secolo.
Già nella colonna corinzia le somiglianze con quella ionica sono evidenti, sebbene sia leggermente più slanciata e mostri un’ancòra minore rastremazione verso l’alto. Allo stesso modo, anche la base, è molto simile, sebbene mostri una maggiore varietà di elementi decorativi o di arricchimento dell’articolazione formale.
Totalmente ionica è anche la trabeazione, che si arricchisce con l’architrave sempre a tre fasce e con la cornice più ricca di elementi.
Ma ciò che caratterizza definitivamente lo stile corinzio è certamente il capitello. Non concentrandosi più sul rapporto tra abaco ed echino, il capitello corinzio mostra una scultura tridimensionale e ariosa, rappresentante un cesto di foglie di acanto che nasconde, essenzialmente, il nodo strutturale formato dall’abaco e dall’echino. Il capitello cambia così senso e significato, diventa il luogo della struttura dove la natura viene non più sublimata ma imitata ed elevata.
Il processo artistico percorso dai Greci, che lentamente passano dalla necessità di conoscere le forme primarie naturali, per poi cercare di comprendere la variabilità dei fenomeni, raggiunge l’acme di quest’ultimo processo mimetico nella redazione del capitello corinzio. Le foglie di acanto possono essere, e di fatto lo saranno, foglie di palma, foglie di edera ecc, e proprio in questa varietà, enunciata dal canestro di foglie di acanto e poi esplosa nell’utilizzo di altri elementi fitomorfi di riferimento, si deve riscontrare l’assoluta padronanza di una tecnica raffinatissima da parte degli artisti greci, in grado oramai di imitare la natura in tutte le sue forme, raggiungendo virtuosismi mai notati prima. Non è un caso che il capitello corinzio, proprio per la possibilità di essere arricchito con altri elementi sempre tratti dalla natura, per la sua versatilità, per essere il ”luogo” dove poter dar voce a un virtuosismo senza pari, sarà quello che avrà la maggior fortuna in epoca ellenistica e poi nel mondo romano e quindi rinascimentale.

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